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Mulattiere, vaticale

Titolo del mestiere: Il Mulattiere

Fonti di riferimenti: Internet

Descrizione del mestiere
C'erano una volta i taciturni e tenaci contadini di Sant'Arcangelo, che a dorso di mulo portavano nelle più lontane piazze della regione le primizie dei loro giardini, sottratti alle golene dell'Agri. Oggi, si possono contare sulle dita di una mano. Anche i muli sono andati in pensione, anzi sono spariti, sostituiti dagli Ape car.
Donato Cerabona, classe 1938, è uno degli ultimi rappresentanti della civiltà rurale pendolare, come si definisce. Cerabona, nomen omen, un nome un destino, ha una bella faccia contadina, scavata, colore della terra, che sembra uscita da una tela di Carlo Levi.

«Non avevo ancora vent'anni racconta, senza concessioni alla retorica – quando feci il mio primo viaggio ad Accettura col mulo. Il pomeriggio si raccoglievano pomodori, peperoni, fichi e percoche, si riempivano due cestoni, altra roba si metteva sul basto, e verso le nove di sera si partiva. Eravamo sempre in due, per farci compagnia». Un viaggio lungo sentieri scoscesi e mulattiere di montagna, a piedi; unico sollievo, attaccarsi alla coda della bestia in salita e saltare in groppa per guadare l'Agri e il Sauro.

Dopo aver attraversato Alianello, Aliano e Cirigliano, verso le 7 l'arrivo ad Accettura. «Una vita di stenti – continua Cerabona -. Tanto lavoro e pochi guadagni. Si vendeva tutto a 100 lire il chilo; se si vendeva tutta la merce si incassavano circa 12.000 lire, più o meno corrispondenti a 130 euro attuali. Per stare nelle spese, bisognava risparmiare su tutto. Un chilo di peperoni o pomodori al sarto mastro Ernesto, che ci prestava la bilancia; altrettanto al banditore; qualcosa in più a zio Pietro "a Scioscia" per lo stallatico. E bisognava stare attenti ai furbi, in genere benestanti e prepotenti, che con la scusa di portarli in mostra come campioni alle mogli, si facevano la provvista quotidiana di pomodori e peperoni. Si faceva economia anche sul mangiare; un pomodoro spaccato con il sale, un pezzo di pane, una bevuta di vino e poi di nuovo verso Sant'Antarcangelo per preparare il viaggio del giorno dopo a Viggiano o a Moliterno».

Una vita agra, come quella del padre, del nonno e degli avi. Una continuità che si interrompe con Donato. Il figlio Pietro ha studiato musica all'Università di Pavia, è stato primo clarinetto nella banda dell'Esercito ed ora insegna musica. Ha scelto le vie del pentagramma, anche se per hobby non disdegna di coltivare il suo orticello.
Anche per questo, Donato è orgoglioso del figlio. Ora è pensionato e potrebbe starsene in ozio. «Ma non ce la faccio – dice. Fin quando avrò forza e fin quando il tre ruote tirerà, andrò nelle piazze a vendere i frutti del mio giardino». E i consumatori continueranno a mangiare le deliziose percoche di Sant'Arcangelo, appena colte.

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