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Conosciuto una volta come il tartufo dei poveri, il rafano è una radice coltivata sulle colline dell'entroterra lucano. Febbraio è il mese giusto per consumarlo in tutta la sua ricchezza, apprezzandone l'aroma penetrante e deciso e il sapore complesso con note dolci e fortemente balsamiche che fanno da contorno alla caratteristica piccantezza. E se il palato ringrazia, la salute non è da meno, considerato il suo altissimo contenuto di sostanze utili all'organismo.
Nonostante alcuni utilizzino le sue foglie nella preparazione dell'insalata, quella ad essere prediletta è senza alcun dubbio la radice che ha bisogno di almeno due anni per maturare e acquistare il suo caratteristico
potere aromatizzante. In realtà, il rafano continua a vivere nel terreno anche dopo essere stato colto: infatti una delle tecniche migliori per conservarlo consiste nell'interrare la radice dopo aver tagliato la parte necessaria per preparare i propri manicaretti. Questa verrà ripulita dalla membrana esterna e grattugiata in modo che sprigioni le sue proprietà aromatiche. Certo, si tratta di un'impresa da temerari: chiunque voglia cimentarsi nell'operazione metta in preventivo occhi rossi e qualche lacrima. Una caratteristica per la quale, ancora oggi, gli anziani chiedono scherzosamente alle ragazze che piangono dopo aver litigato con il fidanzato, se hanno grattato la radice. Il rafano, nonostante possa essere anche seccato al forno, o conservato sott'olio, esprime il meglio di sé fresco: la tradizione lucana lo impiega per insaporire i ferretti conditi con il ragù di maiale o cinghiale, e per preparare la rafanata, a base di uova pecorino e naturalmente rafano.