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La visita al parco archeologico di Grumentum, situato all’interno del Parco Nazionale dell’Appennino lucano, è una delle tappe imperdibili per il turista in Basilicata. Il sito di Grumentum rappresenta uno dei pochi casi in Italia, insieme a Pompei, Ercolano, Ostia e qualche altro esempio, in cui si possono ammirare i resti di un patrimonio storico archeologico straordinario, percependo la forma di una tipica città romana abbandonata e mai più reinsediata: con un colpo d’occhio è possibile comprendere l’intera estensione dell’area urbana, lo schema urbanistico e la differenziazione tra spazi pubblici e spazi privati. Inoltre si conservano in eccellenti condizioni i principali edifici pubblici tipici di una città romana.
Il centro si posiziona su un terrazzo fluviale allungato, rialzato e difeso sui quattro lati da scarpate incise dall’Agri, dallo Sciaura e da corsi d’acqua minori, e si affaccia sullo specchio d’acqua del lago del Pertusillo, in una cornice paesaggistica mozzafiato.
I numeri dei capoversi indicano le soste dell’itinerario indicate nella figura 1, ovvero nella planimetria generale della città.
1. Il percorso inizia con la visita alle strutture dell’acquedotto che entrava in città dal lato meridionale del pianoro (fig. 2), e convogliava le acque captate circa 5 chilometri più a sud (alle pendici del colle su cui sorge Moliterno) e trasportate su strutture in alzato lungo la campagna grumentina in un castellum aquae di cui restano pochi ruderi.
L’impianto urbano (fig. 1) fu organizzato fin dalla fondazione della città secondo uno schema regolare di strade (tre decumani intersecati ortogonalmente da vari cardini); la pavimentazione fu rifatta nel II sec. d.C., e il decumano massimo, lungo il quale si affacciano numerosi monumenti, si conserva intatto per larghi tratti (fig. 3).
2. Presso l’ingresso del parco archeologico si localizza il teatro, costruito in età giulio-claudia e restaurato in età severiana, e situato a cavallo di due isolati (fig. 4).
Il teatro di Grumentum, come in generale il teatro romano, è costituito da tre parti, tra loro strettamente connesse a costituire un solido organismo centripeto: la cavea, l’orchestra e la scena. La cavea, autoportante, ampia 46 metri, e saldata alla scena con corridoi (parodoi) coperti, si sviluppava interamente in elevato e quindi poggiava su sostruzioni in muratura con contrafforti. Attualmente si è conservata per un’altezza (9 metri) corrispondente più o meno alla metà di quella originaria. Il prospetto esterno era costituito da una doppia fila di arcate, che sostenevano il piano inclinato con i sedili, posti in gradinate, in pietra, oggi quasi completamente scomparsi. Ai sedili si accedeva mediante gradinate situate all’interno dell’ambulacro coperto che correva immediatamente alle spalle del porticato esterno. Due corridoi semianulari sovrapposti, coperti con volte a crociera, permettevano l’accesso degli spettatori a tutta la cavea, suddivisa dal basso verso l’alto in tre ordini di posti (infima, media e summa cavea), riservati a cittadini di rango progressivamente decrescente. Quattro scalinate (scalaria) salivano dall’orchestra e ripartivano la cavea in cinque cunei. Le gradinate risalgono all’impianto originario e sono sostenute da una massiccia struttura in cementizio.
Altri cinque corridoi coperti, due parodoi e tre vomitoria, disposti a ventaglio trasversalmente alla cavea, consentivano l’accesso diretto all’orchestra, oppure alle file inferiori delle gradinate, separate dalle altre con una transenna in pietra e riservate all’ordo decurionum, o comunque alle personalità più importanti della città.
L’orchestra probabilmente era utilizzata in parte dagli attori, ma poteva anche costituire un’appendice della cavea: al suo interno dovevano essere collocati i sedili riservati ai personaggi più eminenti della città (proedria), separati dalle retrostanti gradinate per mezzo di un muretto (balteus).
Di fronte all’orchestra, e sopraelevato di circa un metro e mezzo rispetto al piano di questa si trovava il palcoscenico, un tavolato ligneo sostenuto da travi. Il muro di fondo fungeva da scenario monumentale della recitazione. L’edificio scenico, di tipo abbastanza complesso, è caratterizzato dalla presenza di tre porte (porta regia al centro e portae hospitales ai lati), che, oltre a costituire il fondo del palcoscenico (pulpitum), servivano a mettere in comunicazione quest’ultimo con la scena e con l’area aperta a nord; pertanto da queste uscivano gli attori. La scaenae frons era articolata in tre grandi esedre, al centro delle quali si aprivano le tre porte.
Il prospetto della scena si innalzava su due piani, ed era coperto, insieme al palcoscenico, da un tetto spiovente verso l’esterno. Il progetto originario prevedeva sul retro della scena un piazzale porticato (porticus post scaenam).
3. Sull’area porticata dietro la scena del teatro, probabilmente utilizzata anche con funzioni di palestra, si affaccia il retro del Tempio A (fig. 5), in pietra calcarea grigia, il cui ingresso principale era posto sul lato del decumano massimo. L’edificio sacro si configura come un tempietto di tipo italico, perché sopraelevato su un alto podio: è probabile che fosse adibito al culto di Arpocrate, divinità egizia, perché nei suoi pressi è stato rinvenuto un torso in marmo rappresentante un fanciullo, identificato forse con la divinità egizia. Ciò attesterebbe la presenza del culto egizio a Grumentum.
4. Proseguendo lungo il decumano massimo, si raggiunge l’ingresso della domus dei mosaici, uno dei complessi di maggior pregio dell’intera città, residenza di un personaggio molto importante della storia grumentina.
La casa è un’abitazione unifamiliare a pianta rettangolare (30 x 60 metri), è orientata nord ovest – sud est, ovvero perpendicolarmente ai decumani della città, e si affaccia sul decumano centrale, dal quale vi si accede attraverso l’ingresso principale, mentre altri accessi sono presenti lungo i lati nord e sud dell’abitazione. La domus presenta lo schema tipico della casa romana ad atrio e peristilio: sul lato della strada sono presenti dei negozi (tabernae).
La metà meridionale presenta in successione ingresso (fauces), atrio con vasca per la raccolta delle acque piovane (impluvium), giardino porticato (peristilio): da quest’ultimo si accede a tre soggiorni – sale da pranzo (triclinia), con pareti e soffitto intonacati e dipinti, e pavimenti in mosaici in bianco e nero e policromi, con motivi geometrici e vegetali (fig. 6 e fig. 7). Nell’atrio è presente una nicchia absidata con le pareti foderate in marmo, e pavimento a mosaico policromo, destinata a ospitare una statua probabilmente connessa al culto degli dei protettori della casa (lararium). Intorno all’atrio si articolano vari ambienti, come le alae, delle camere da letto (cubicula), una piccola sala (oecus) e una latrina.
A nord est dell’atrio altri tre ambienti di rappresentanza sono pavimentati il primo a mosaico bianco con riquadro centrale con marmi intarsiati (opus sectile), il secondo a mosaico nero, il terzo a mosaico bianco con riquadro centrale occupato da una vasca-fontana.
La metà settentrionale della casa è costituita da ambienti di piccole dimensioni, con probabili funzioni di camere da letto (cubicula) nell’area nordorientale, da vani di servizio nell’area nordoccidentale (cucine, bagni, magazzini e locali per la servitù). Alla zona di servizio della casa si accedeva dal retro, attraverso una strada carrabile.
Agli inizi del II sec. d.C. si data la realizzazione della casa, su edifici repubblicani, mentre a cavallo tra III e IV sec. d.C. furono effettuati numerosi interventi di restauro e abbellimento, e a questa fase va ascritta la realizzazione dei mosaici.
Non distante dalla domus dei mosaici si trova il Tempio B, dal culto non identificato.
5. Proseguendo, si raggiungono le cosiddette Terme repubblicane, che in realtà furono in funzione fino al V sec. d.C., delle quali sono visibili l’apodyterium (spogliatoio), il frigidarium circolare, il tepidarium e il calidarium, con i sedili in muratura, e con il pavimento mosaicato che poggia sulle suspensurae che permettevano la diffusione del calore.
6. Riportandoci sul decumano massimo, raggiungiamo il Foro (fig. 8) che rappresenta una componente fondamentale della città romana: è infatti il fulcro della vita pubblica, un’ampia piazza aperta sulla quale si affacciano i principali edifici amministrativi, religiosi e commerciali.
Il Foro di Grumentum è di forma rettangolare: il decumano massimo entra nel foro sui lati brevi, lungo i quali si affacciano, l’uno di fronte all’altro, il Tempio C (sul lato sud occidentale), probabilmente dedicato al culto imperiale (fig. 9), e il Tempio D, o Capitolium (sul lato nord orientale, fig. 10 e fig. 11). La piazza, pavimentata in lastroni di marmo di cui restano delle tracce nell’angolo meridionale del foro, è porticata su tutti e quattro i lati, e, sul lato settentrionale, in posizione esterna rispetto al portico, a fianco al Capitolium, si posiziona un altro tempio, di forma circolare, ancora in corso di scavo. Il lato lungo sud orientale risulta completamente chiuso dal portico, e all’esterno sono in corso di scavo ambienti probabilmente pertinenti ad abitazioni. Sul lato lungo nord occidentale si innalzava la basilica, importante edificio civile con funzioni di mercato e di esercizio della giustizia, di cui si intravedono pochi resti, mentre sono ancora ben visibili un edificio rettangolare absidato sul lato di fondo, e un altro edificio circolare, dalle funzioni non accertate.
9. Infine, seguendo l’itinerario, si raggiunge l’anfiteatro (fig. 14 e fig.15), messo in luce tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, ma noto da sempre agli eruditi locali.
Il monumento è ubicato in posizione periferica rispetto all’abitato antico, lungo il limite nord-orientale del perimetro urbano, per gestire al meglio il notevole afflusso di pubblico che doveva accorrere durante le giornate di giochi, dagli abitati di tutta la valle. Per costruirlo, venne sfruttato il dislivello tra la terrazza centrale e quella orientale della collina su cui sorse Grumentum, addossando alla pendice naturale la parte ovest dell’edificio.
La restante parte fu invece realizzata su sostruzioni artificiali in opera cementizia.
La tecnica costruttiva usata è quella dell’opus incertum, realizzato attingendo al materiale lapideo naturalmente disponibile nella zona; la comparsa in alcuni punti di un opus reticulatum regolare è dovuta a rimaneggiamenti successivi.
L’anfiteatro grumentino è, secondo la classificazione attualmente in uso, di tipologia ibrida: a struttura piena sul lato ovest, e a struttura cava nelle parti restanti. Almeno inizialmente, le gradinate della parte alta dovettero essere in legno, piuttosto che in pietra; furono invece sin dall’origine in pietra gli ordini inferiori di gradini, quanto meno sul lato ovest, dove ne è tuttora visibile l’appoggio in opera cementizia.
L’arena è stata ricavata tagliando e spianando la pendice, e non presenta ambienti sotterranei; il corridoio che la circonda si interrompeva solo in corrispondenza degli ingressi principali, dove era verosimilmente sbarrato da cancelli, in quanto utilizzato per fare entrare gli animali, attraverso le sei aperture chiuse da griglie metalliche di cui si conservano in parte le soglie.
I quattro accessi principali erano disposti alle estremità degli assi dell’edificio, con i due monumentali sull’asse maggiore; numerosi altri si distribuivano variamente lungo il perimetro esterno, immettendo gli spettatori sia direttamente sulle gradinate (lato ovest), sia in un ambulacro da cui partivano le scale per accedere ai posti dei settori medi e inferiori (lato est). Su questo stesso lato, tre scalinate esterne a rampe convergenti, simili a quelle dell’anfiteatro di Pompei, consentivano di raggiungere i gradini più alti, e fungevano al tempo stesso da contrafforti della struttura.
Sulla base dei saggi condotti e dei materiali rinvenuti, è possibile datare la costruzione dell’anfiteatro di Grumentum alla seconda metà del I secolo a.C.; una seconda fase, con parziali rifacimenti, risale invece al I secolo d.C., ma vi sono indizi di almeno un ulteriore intervento, forse di età severiana.
Dopo la visita al Parco archeologico, l’itinerario storico continua nel Museo Nazionale dell’Alta Val d’Agri, e poi nel suburbio grumentino, lungo la via Herculia, per concludersi con la visita al borgo medievale di Grumento Nova e agli altri borghi, sorti dopo l’abbandono in età alto medievale della città romana.
Bibliografia essenziale:
1. P. Bottini (a c.), Il Museo Archeologico Nazionale dell’alta Val d’Agri, Lavello 1997.
2. L. Giardino (a c.), Grumentum: la ricerca archeologica in un centro antico, Catalogo della Mostra, Galatina 1981.
3. A. Mastrocinque (a c.), Grumentum romana, Convegno di studi, Grumento Nova, 28-29 giugno 2008, Salone del Castello Sanseverino, Moliterno 2009.
4. F. Tarlano (a c.), Il territorio grumentino e la valle dell’Agri nell’antichità. Atti della Giornata di Studi Grumento Nova (Potenza), 25 aprile 2009, Bologna 2010.
7. Proseguendo lungo il decumano, si raggiunge la Chiesa della SS. Assunta, a tre navate e tre absidi, probabile cattedrale della diocesi grumentina.
8. Poche decine di metri a sud sono perfettamente conservate le cosiddette Terme imperiali: lo straordinario complesso, uno dei meglio conservati al mondo, è del tipo “a schiera”, orientato rispetto alla rete stradale urbana, e consta di 15 ambienti: l’ingresso principale si affacciava sul decumano inferiore, e, attraverso un corridoio si accedeva alle latrine e al frigidarium, dove si è conservato uno splendido mosaico con i motivi ittici, di Scilla e dei Giganti (fig. 12): il mosaico è a tessere bianche, nere, grigie, blu scuro, turchese e verde. La cornice esterna è grigia, con bordo a motivi floreali (foglie d’acanto trilobate e viticci a volute) e quattro figure maschili agli angoli, che rappresentano Giganti dalle estremità serpentiformi, in ginocchio, con le braccia in alto che reggono l’emblema, nel quale sono raffigurati numerosi pesci. Il tema dell’acqua dell’emblema è fortemente in connessione tematica con l’ambiente termale. Al centro si trova Scilla, di prospetto, con il busto nudo, cinto con una corona di pinne, sotto le quali sono raffigurate tre protomi canine; le sue braccia sono alzate, e una mano stringe un ramo. I riflessi dell’acqua sono realizzati con linee ondulate. La datazione del mosaico, molto incerta, andrebbe tra il II e il III sec. d.C.
Dal frigidarium si accedeva verso est a una grossa aula mosaicata, verso sud a un vano absidato con funzione di piscina, e verso nord a un’altra piscina di dimensioni inferiori della prima e all’apodyterium (lo spogliatoio), che portava al primo tepidarium, con un praefurnium molto ampio, e con tracce di ipocausti ai lati.
Il pavimento della grande aula è decorato con un mosaico geometrico, conservatosi per oltre la metà del vano, con volute, palmette, rombi e ottagoni: i confronti, localizzati tutti nell’Africa settentrionale, datano il mosaico tra il II e il IV sec. d.C.
Dal primo tepidarium si raggiungeva un secondo tepidarium, molto ben conservato, con le suspensurae ancora in loco, così come gli ipocausti, tubi e piastrelle in marmo e i resti di un mosaico con motivi geometrici che trovano confronti a Ostia, databili all’inizio del III sec. d.C.
In fondo era posto il calidarium absidato. Nella parte meridionale del complesso sono presenti tre ambienti ipotizzati come vani di servizio per il riscaldamento del complesso. L’approvvigionamento delle acque proveniva dalla rete idrica urbana servita dall’acquedotto. La fase principale della struttura si data tra il periodo augusteo e quello severiano.
All’interno della piscina absidata retrostante il frigidarium, durante lo scavo è stato registrato un eccezionale ritrovamento: sono stati rinvenuti diversi frammenti di statue di dimensioni leggermente inferiori a quelle umane; è probabile che in antico fossero collocate nelle nicchie all’interno dello stesso vano. Le statue rappresentano due ninfe, Afrodite con un delfino e Dioniso (fig. 13), sono tutte acefale e senza braccia, e sono state realizzate con il pregiato marmo pario; sembra che si tratti di modelli ellenistici, e che le statue debbano essere ascritte alla scuola di Efeso (una celebre scuola di scultori che aveva sede nella città anatolica) del II sec. a.C., ma le datazioni sono ancora incerte, e potrebbero oscillare tra il II sec. a.C. e il III sec. d.C.
La statua di Afrodite è in marmo rosa, e non fa parte del gruppo originario: sembra una copia romana di un originale ellenistico, databile tra II e III sec. d.C. Sembrerebbe che le statue fossero state distrutte in loco in epoca tardo antica, e che poi fossero state abbandonate nel riempimento della piscina.