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Mastro di Cotto

Titolo del mestiere: Mastro di cotto 

Periodo storico di riferimento: XII-XVI secolo d.C.

Fonti di riferimento: Biblioteca comunale "Emilio Magaldi", San Chirico Raparo
D. Colonnesi, La ceramica in Basilicata, Potenza 1995.
Enciclopedia La Piccola Treccani.
Contributo orale di Raffaele Rinaldi.

Persone coinvolte: L'arte del cotto è stata introdotta dai monaci basiliani di culto bizantino dell'ordine di San Vitale ed è stata poi continuata dagli artigiani della maiolica delle Fabbriche di S. Chirico Raparo.

Descrizione del mestiere
Le origini della lavorazione del cotto nel territorio sanchirichese coincidono con l'arrivo della comunità basiliana proveniente dal vicino Oriente, spinta dalle persecuzioni dell'impero bizantino e dall'espansione araba.
I monaci artigiani cominciarono la loro attività alle pendici del Monte Raparo, là dove edificarono l'Abbazia di Sant'Angelo. Dai reperti che sono oggi conservati nel deposito dello scavo sono visibili: un vaso a bombola con mescitoio a cannula e decori a rombo inscritti in rettangoli su smaltatura piombifera; un frammento di vaso con decoro in verde e bruno su smalto stannifero; un piatto frammentato ingobbiato con decoro in verde ramina, giallo lucano e bruno manganese; frammenti di maiolica con decoro "alla porcellana".

La denominazione maiolica è venuta in uso nel Cinquecento, termine con cui si classifica la ceramica porosa rivestita di smalto stannifero sia bianco che colorato. L'artigiano, dopo aver modellato manualmente la creta in una data forma e dopo averla fatta asciugare, sottoponeva l'oggetto ad una prima cottura in forno. Dopo il raffreddamento procedeva con l'infusione nello smalto e la decorazione, infine l'oggetto subiva una seconda cottura. La creta era facilmente reperibile, giacimenti se ne trovano su tutto il territorio, ad esempio presso la sorgente del Reale, gli smalti invece si producevano con elementi naturali (sono comunemente a base di allumina, quarzo, feldspato, borace, carbonato sodico, minio, criolite, florite, fosfato di calcio, flosilicato e pigmenti inorganici). Si modellavano bacini, cioè recipienti a forma di scodella o coppa; piatti; vasi dal collo lungo; vasi a forma globulare. La prima decorazione avveniva per infusione e la vetrina si incorporava nello smalto per dare lucentezza. Una tecnica di decorazione era l'ingobbio, cioè si ricopriva il biscotto (la creta così come appariva dopo la cottura) con un velo di terra bianca o colorata, detto intonaco, poi l'oggetto si copriva con la vernice vitrea. Altra era la graffiatura, solitamente fatta dopo l'ingobbiatura incidendo con una punta metallica forme geometriche a cerchi, linee curve, fascioni a spina di pesce, motivi a foglia, più rare erano le figure zoomorfe.

La lavorazione era fatta esclusivamente a mano e la vendita – presumibilmente sotto forma di baratto – avveniva all'interno della Fiera svolta nel giorno di San Michele Arcangelo, il 29 settembre di ogni anno, sorta in concomitanza al pellegrinaggio presso l'Abbazia dove confluivano i popoli di San Chirico Raparo, Castelsaraceno e San Martino D'Agri. Da alcune fonti risulta che la fiera all'Abbazia si è svolta fino al XVIII sec. ma la sua prosecuzione effettiva si è trasferita in Contrada "Acqua della Pietra".

Nei secoli successivi il prosieguo dell'arte della maiolica avvenne nelle Fabbriche di S.Chirico Raparo, ove per fabbrica si intende il luogo in cui avveniva un mestiere, il negozio dell'artigiano.
Si può certamente affermare che l'incontro di due realtà come quella del mondo bizantino, portatrice della cultura classica, da una parte e mondo contadino, legato all'agricoltura, alla pastorizia e al folklore religioso dall'altra, si è assistito ad un processo di acculturazione e di raffinamento artistico che ha liberato capacità creative ignote agli stessi acquisitori di quella ricchezza.

Giudizio di sostenibilità
Ramificata è stata la rete mercantile che ha diffuso gli oggetti anche in quei paesi che non avevano centri produttivi di tal genere e attiva in Basilicata è stata fino agli anni '60 la figura del pignataro, termine che indicava il commerciante di terrecotte ormai soppiantate dall'acciaio, dall'alluminio e dalla plastica, per la loro maggiore durata ed economicità.

Da un punto di vista personale l'arte della terracotta non è mai stata abbandonata, anzi è stata nascosta e protetta timidamente tra gli affetti personali, poiché la scelta di questa attività è legata alla volontà di un lavoro autonomo e creativo atto a dimostrare le proprie capacità artistiche, ma soprattutto in una società come quella contemporanea riproporre la bottega risulterebbe come un processo di avviamento verso un'applicazione pedagogica che avvii bambini e giovani alla riscoperta di valori genuini, antichi, estranei alla cultura della frenesia tecnologica, dell'affannamento sulla società e il finto benessere legato alla moda dei reality.


(foto di: Archivio Parco Nazionale dell'Appennino Lucano Val d'Agri - Lagonegrese)
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